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La stazione ferroviaria del Carmine “Bayard”

Pubblicato da Vagamondo Travel Blog in Campania · 11 Gennaio 2017

Dalle glorie del passato al pauperismo del presente: la prima linea ferroviaria costruita in Italia, la Napoli – Portici


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Nella Napoli capitale del Regno delle due Sicilie, il 3 ottobre 1839 s’inaugurava la prima linea ferroviaria costruita in Italia: la Napoli – Portici. A doppio binario e aveva una lunghezza complessiva di 7,25 Km. Alla presenza del re Ferdinando II di Borbone e delle più alte cariche del Regno vi fu la partenza del primo treno composto di una locomotiva a vapore battezzata "Vesuvio" e di otto vagoni. Il percorso fu compiuto in nove minuti e mezzo tra la moltitudine di gente stupita e festante. E Napoli aveva a quel tempo già una stazione ferroviaria, quella del “Carmine”, della società Bayard, attivata nel 1839 all'apertura del tronco ferroviario Napoli-Portici, primo tratto della linea Napoli-Nocera completata nel 1844. Gravemente danneggiata dai bombardamenti del 1943, in particolare dall'esplosione della nave Caterina Costa e dal terremoto dell'Irpinia del 1980, la stazione è oggi ridotta allo stato di rudere, in condizioni di forte degrado. A pochi metri dal rudere, una lapide commemora l'arrivo in città di Giuseppe Garibaldi, giunto appunto in treno, il 7 settembre 1860. L’1 agosto 1842 fu inaugurata una seconda linea ferroviaria che prolungava Portici a Castellammare e due anni dopo, nel 1844, la diramazione per Pompei, Angri, Pagani e Nocera Inferiore. Papa Pio IX l'8 settembre 1849, salì per la prima volta a Napoli su di un treno insieme al Re Ferdinando II di Borbone. Il Pontefice, all’arrivo in stazione, entusiasta, espresse ai presenti la volontà di realizzare anche nello Stato Pontificio delle opere ferroviarie.


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Nell’Italia meridionale esistevano circa 100 industrie metalmeccaniche tra cui Pietrarsa, la più grande industria metalmeccanica d’Italia estesa su una superficie di 34mila metri quadri e occupava circa 1100 operai, produceva, oltre agli oggetti dell’industria metalmeccanica come torni, cesoie, gru, apparecchiature telegrafiche, pompe, laminati e trafilati, caldaie, cuscinetti, foratrici, anche locomotive e vagoni e binari ferroviari.
Chissà che Italia avremmo avuto, se Ferdinando II non fosse morto prematuramente a quarantanove anni, solo un anno prima dallo sbarco di Garibaldi in Sicilia, chissà se avremmo avuto il brigantaggio, la mafia e l’emigrazione verso le Americhe di oltre dodici milioni di meridionali nei soli primi trent’anni dall’Unità d’Italia, chissà che classe politica avremmo avuto, onesta e laboriosa, e chissà se questo rudere oggi non sarebbe diventato un museo come in un qualsiasi altro paese europeo avanzato. Un bene lasciato in condizioni vergognose, un ammasso di pietre pericolanti, in una città che punta su turismo e beni culturali come motore di sviluppo economico e sociale.
Ricordando Francesco II di Borbone, succeduto al padre Ferdinando all’età di soli ventitré anni, lasciando Gaeta, disse: “Voi, amati sudditi, sognate l’Italia ma, arriverà il giorno che non avrete più nulla, nemmeno gli occhi per piangere”.


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